Ricordi della compagnia della Vergine Maria e di San Sebastiano di Bibbona

A Bibbona, la compagnia della Beata Vergine e di San Sebastiano, detta spesso solo di San Sebastiano ebbe fini devozionali e sede nella chiesa di Sant’Andrea, che nel castello si trovava “contro” alla più nota pieve di Sant’Ilario.
Annoverò alla fine del cinquecento oltre trenta associati, vestiti di cappa celestina durante la loro adunanza della domenica e celebrò con solennità le feste della Visitazione di Maria (2 luglio) e di San Sebastiano (20 gennaio). Il suo ‘correttore’ fu in genere un frate carmelitano del santuario della Madonna della Pietà, fuori del castello.
Come tutte le compagnie del granducato, ebbe dei beni, cioè qualche terra o casa dati in affitto o a livello a terzi per ricavarne una rendita da aggiungere alle elemosine e da usare per le spese della cera, della liturgia, dei suffragi e per l’abbellimento/restauro della chiesa – allora, in tempi di povertà, poche rendite assicuravano a una società di questo tipo di tirare avanti dignitosamente.
Per l’amministrazione veniva nominato un camarlingo (= economo) che riportava le entrate e le uscite su dei registri. Uno di questi, iniziato nel 1586, è all’Archivio di Stato di Firenze nel fondo Compagnie laicali soppresse da Pietro Leopoldo (1785). Leggerlo significa richiamare alla memoria, oltre che la devozione, la vita quotidiana dei castellani e la loro originale società.
Per fare un esempio, si trova come la compagnia gestisse il decaduto ospedale di San Leonardo di Bibbona alla la porta al Sole del castello e che, essendo diventato un magazzino, lo affittasse alla “Fattoria di Sua Altezza Reale alla Cecina” (il Fitto), fabbrica di ferro e bisognosa di un deposito di legna per alimentare i forni. Nel registro pertanto appaiono i fattori delegati che pagavano il dovuto alla compagnia: Fabio Croce (1604-1609), Pompeo Pelafrelli (1609-1611), Scipione Sacconi (1612-1616) e Bastiano Cavicchi (1618-1623).

Il camarlingo ricordò anche due confratelli che dopo la morte vollero legare alla confraternita le loro cose, affinché fossero vendute e si rimpinguasse la cassa.

Il 14 settembre 1623 ricoprì l’incarico Michele Carnesecchi che annotò il passaggio a “miglior vita” di “Lorenza di Tonino, una delle sorelle” e i suoi legati “alla compagnia del Giesù” scudi (illeggibile), alla compagnia del Rosario scudi 4, alla compagnia del Sacramento scudi 2 e alla “nostra” compagnia un obbligo di fare dire “un trentesimo per tre anni a lire 14 l’anno”.
In casa sua inoltre furono trovati scudi 7 e le “robbe” utili alla vita quotidiana, al lavoro nei campi e alla raccolta della legna di una donna sola dal modesto tenore di vita.
Questi oggetti erano un saccone vecchio, una coltrice vecchia, un capezzale lungo, un panno da letto vecchio, 2 cortine rotte bianche – il tutto fu venduto a Giovanni Maria di Iacopo per scudi 14.
C’erano poi una cassa d’albero “entrovi certe scritture”, 6 tovagliolini usati, un asciugamano nuovo, 7 lenzuola, uno non cucito, e tovaglie una nuova e una “anamezzato” (sic), una ... glia (?) nuova, 2 federe usate, 5 marroni usati, una vanghetta, un crivello, una “amola”, 2 accette vecchie, una falcetta da segare i grani, due paioli, una padella, 2 lucerne, una catena da fuoco, un paio d’alari di ferro, un paio di molle, una paletta cattiva, una forchetta da fuoco, un paio di scarpe, un lucerniere, 2 seggiole, uno spiedone, una padella, una cassa vecchia dall’albero, 11 asciugatoi vecchi, 11 pezzi di stoviglie “di più sorte”, 3 sacca “per tenerci il grano”, un paio di statere piccole, una forma di cacio, una botticella di cinque barili piena, una botte, una gratta cacia (= grattugia), una tavola “con i sua piedi”, un carratello, una tina.
Alcuni di questi oggetti li comprò Polito di Giovanni Maria che “tanti doveva per vettura del suo cavallo da madonna Lorenza e l’ho messa a uscita perché apparisca il pagamento” – scrive il camarlingo.

Poco meno di un ventennio più tardi Ippolito Federighi riportò un altro testamento: “Ricordo come questo dì 30 settembre 1642, come disse il molto reverendo padre fra Marsilio Roncioni priore della Madonna di Pietà di Bibbona, per ultima volontà, con suo nuncupativo testamento di Giovanni di Simone da Culagna [Collagna] modanese alias la Vecchia, aunne lassatto alla venerabil compagnia della SS. Vergine della terra di Bibbona detta la compagnia di San Bastiano [seguono due crediti e una stanza]:
da Matteo di Giuseppe di Piero Narducci da Montecatini la somma di lire cinquantasei salvi con patto che pagando detti denari alla compagnia detta, la compagnia o chi sarà deputato a tal effetto, disse se li facesse fine e quietanza con detto Narducci;
da Pasquino da Casale suo cognato scudi venti e staia sei di grano della sua dote di Diamante, sua moglie defunta e sorella di detto Pasquino, che per tale effetto detto Pasquino gli aveva, a detto Giovanni suo cognato, consegnato una vigna alla presenza di Bartolomeo di Iacopo Pagni da Bibbona, e Marcho di Pasquino da Casale.
Testimoni a detta sua volontà Alessandro di Bernardino Nencini, Bartolino di Giorgio da Verbina modanese.
Detto Giovanni lassò una sua casa, cioè una stanza sola, che la compagnia o fratelli la vendesseno, et del ritratto di detta casa quale era di Mantia altra sua donna e prima moglie, li devi dare la metà alla sua niepote figlia di Galeazzo di Giovanni Maria suo cognato, e l’altra parte si deva dalla suddetta compagnia fare elettione della più povera fanciulla che sia in Bibbona et, morendo detta sua nipote chiamata Giovanna, quella parte della casa suddetta resti alla sua madre, sorella di detto Giovanni di Simone per sua ultima volontà, come ne fu referto dal detto padre fra Marsilio priore della Madonna di Pietà di Bibbona in petto di me Ipolito Federighi camarlingo ... ”.

Paola Ircani Menichini, 21 settembre 2023.
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